DOVE SI PARLA DI...

cucina, gatti, casa, e mille altre cose...ricette (dolci e un po' di salato), ma anche di gatti, libri, natura e tanto altro.


lunedì 29 giugno 2020

L'INTOPPO

Tredicesima puntata. Se non avete letto le precedenti, scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchio".
Speravo di iniziare questo post dando la bella notizia che la PET di controllo era andata bene, invece purtroppo non posso ancora esultare. Dovrò fare una TAC (ancora non so quando) per verificare se l'attività più vivace a livello polmonare messa in evidenza sia solo di origine infiammatoria (come spero ardentemente) o "altro". Intanto che aspetto e mi agito, proseguo il racconto.
Ero dunque tornata a casa ma dovevo presentarmi ogni due giorni a far analizzare il siero contenuto nella sacca del drenaggio del pancreas. Il valore delle amilasi era ancora un po' alto e scendeva molto lentamente. Ciò comportava ogni volta che perdessi quasi tutto il giorno, tra viaggio e attese ma, tanto, non avevo niente da fare. Al quarto controllo, forse per qualcosa che avevo mangiato o per chissà quale altro motivo, i valori schizzarono alle stelle. Mi fecero aspettare fino alle 5 del pomeriggio (arrivavo alle 8,30 del mattino, di solito finivo verso l'una) per poi comunicarmi che dovevano ricoverarmi di nuovo. Mi crollò il mondo addosso. Già era difficile tutto quello che stavo passando, pensare di tornare in ospedale, in quel momento, fu davvero deprimente. Così il giorno dopo tornai e stavolta non fui così fortunata da stare da sola in stanza. I primi due giorni ci fu una signora abbastanza tranquilla, ma con tantissimi parenti che stavano lì molte ore e parlavano molto ad alta voce, anche se vedevano che cercavo di riposare. Poi arrivò Filomena. Cinque giorni da incubo! Innanzitutto si lamentava tantissimo, arrivò e fu operata, una cosa non grave, infatti la riportarono subito in camera. E continuava a lamentarsi per ogni piccolo dolore. Ancora adesso, quando abbiamo qualche dolore da qualche parte, io e il Top la citiamo dicendo: "MMMMMH (gemito di dolore) E CHE E' MO'??" frase che lei diceva ogni 10 minuti. Aveva un figlio che si chiamava Omar, che lei pronunciava con l'accento sulla a: Omàr. La prima notte, verso le 4, nel dormiveglia la sentii gridare: "Omàr, Omàr!!" Pensai che con i fumi dell'anestesia fosse semi incosciente e lo chiamasse. Invece il giorno dopo mi disse che gli aveva telefonato (alle 4 di notte!!) ma lui era in un locale e non sentiva niente. Sono rimasta talmente basita che non le ho neanche detto niente. Aveva molta nausea, cosa normale dopo l'anestesia ma che io per fortuna non avevo avuto. Il fatto è che continuava a cercare di mangiare (che io, con la nausea, non riuscirei neanche a pensare al cibo, nonostante sia una golosastra) e poi aveva i conati di vomito molto rumorosi. Tutto questo mentre io mangiavo (sempre a fatica). Infatti presi l'abitudine di prendere il mio vassoio e andare nel salottino dei visitatori per non rischiare di vomitare pure io. Già riuscivo a mangiare ben poco, quello non aiutava di certo. Aveva anche lei comunque sempre molti parenti vocianti, tra cui un fratello medico che metteva in discussione tutte le terapie che le somministravano, con immensa gioia di infermiere e dottori.
Per fortuna, dopo un po' di giorni i valori cominciarono a calare. E meno male perché il foro in cui era inserito il drenaggio cominciava a farmi un male bestia. Temevo di dover tornare a casa ancora con quel sacchetto infernale, invece un giorno, a sorpresa, vennero a togliermelo. Fu un momento di pura gioia. Dopo una settimana tornai nuovamente a casa. Ora dovevo solo riprendermi abbastanza per poter iniziare le chemio. Quando ero stata ricoverata la primissima volta avevo detto al Top che volevo un altro gatto. Nonostante ne avessimo già quattro (già per modo di dire, visto che, a oggi, sono dieci!) nessuno di loro era affettuoso e io sentivo tanto il bisogno della vicinanza di un micino che mi stesse in braccio. Decisi che l'avrei chiamato Kimo (è così che si dice chemio in inglese, scritto chemo), perché pensavo che sarebbe stato lui, più che le terapie, che mi avrebbe aiutata a guarire. Di lui ho parlato in questo post (clicca su "questo post"). Quindi, a fine luglio, arrivarono sia Kimo che la prima chemio.

lunedì 22 giugno 2020

IO E GIULIA

Dodicesima puntata, se avete perso le precedenti scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchio".
Forse sarebbe meglio definirla undicesima puntata e mezza, perché in realtà volevo solo raccontare un episodio che la volta scorsa mi sono dimenticata di dire. Avevo infatti finito la puntata con le mie dimissioni dall'ospedale, ma quello che voglio raccontare è ancora riferito a quei giorni di ricovero.
Vi starete domandando chi è la Giulia che nomino nel titolo. Ecco, è una storia strana e molto buffa.
Dovete sapere che io ho sempre sofferto di insonnia, spesso mi capitava di svegliarmi in piena notte e di non riuscire più a prendere sonno. In quei casi mi trasferivo sul divano con un libro e le ore notturne passavano (ho un vago ricordo di una poesia, mi pare di Sibilla Aleramo, che parlava di "sgranare le ore notturne come perle di una collana", ma non la trovo più). Tutti i rumori mi danno estremamente fastidio, non potrei mai dormire con un orologio rumoroso vicino, mi fisserei sul suo ticchettio e mi farebbe impazzire. Mi rendo conto di non riuscire a estraniarmi dai suoni circostanti: se c'è una musica, ad esempio, non riesco a leggere: o ascolto musica, o leggo.
In ospedale non riuscivo a dormire affatto, un po' per la situazione, un po' per la posizione (io solitamente dormo sul fianco o di pancia, invece per almeno due mesi ho potuto dormire solo di schiena). In più avevo questa flebo attaccata, già fastidiosa di suo, che era collegata a una macchinetta. Qui in Alessandria usavano ancora le flebo come si faceva una volta, sacca appesa e via. Lì invece usano queste macchinette (che poi avrei conosciuto bene durante le chemio) che permettono di dosare molto bene il liquido. Il problema di queste macchinette è che sono molto rumorose. Ma non un suono regolare, che magari, dai e dai, avrebbe anche potuto cullarmi. No. Un suono che faceva tic, tic, tic... frrrrr. Tic, tic, tic... frrrrr. Immaginate un po', per una che si fissa sui rumore, cosa dovesse essere questa cosa! Quando arrivava il frrr i miei nervi scattavano. Insomma, un incubo!
Qualche volta (nella vita) mi è successa anche questa cosa strana: rimango sospesa in un sonno "falso", sono quasi in uno stato di semi incoscienza da cui non riesco a uscire, dove ripeto un gesto o un suono all'infinito (ma solo dentro la mia mente), è un po' difficile da spiegare, è come se fossi incastrata dentro la mia testa e qualcosa (appunto un'immagine o un suono) si ripete di continuo. Una cosa sgradevolissima.
Ritorniamo all'ospedale e alla notte di cui voglio raccontare: mi ritrovo a un certo punto in questo giro vizioso della mente, intrappolata. La macchinetta che fa il suo tic, tic, tic... frrrr. E a un certo punto il "frrr" viene sostituito nella mia mente da una voce femminile che dice: "Giulia"! Quindi diventa tic, tic, tic... Giulia! Tic, tic, tic... Giulia!
Ora, raccontato adesso fa molto ridere, ma voi immaginate di voler uscire da questa cosa ossessiva e non ci riuscite, è terribile!
Insomma, quando finalmente mi sono, per così dire, svegliata, ero stremata. Dalla sera dopo chiesi che mi togliessero la macchinetta, cosa che fecero, un po' facendomelo pesare, a dire il vero, perché dovevano sostituirla con un apparato per dosare il liquido. E la macchinetta venne ribattezzata Giulia. Quando andavamo a "passeggio" nel corridoio eravamo ormai sempre in tre: io, il Top... e Giulia.
Tic, tic, tic.... Giulia! Tic, tic, tic... Giulia!!

domenica 14 giugno 2020

SECONDA VITA

Undicesima puntata, se avete perso le precedenti scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchio".
14 giugno: tre anni fa a quest'ora ero sotto i ferri. Di fatto è un po' come se quel giorno sia cominciata la mia seconda vita. Credo sia comune a tutti quelli che hanno avuto una malattia grave (e magari anche a chi ha rischiato la vita in un incidente), riferirsi alla propria vita come a un "prima" e un "dopo". Come se quello fosse uno spartiacque che divide nettamente due fasi della vita.
Uscivo dalla sala operatoria alleggerita, oltre che di utero e ovaie, anche della milza, dell'omento (che non sapevo neanche esistesse) e dell'appendice. Avevano anche fatto pulizia dei numerosi noduli nel peritoneo. Avevo un taglio di circa 25 cm che andava dal pube allo stomaco. Quello che temevo di più era il dolore, che immaginavo fortissimo. E invece devo dire che non ne sentii quasi. La morfina, che potevo utilizzare ogni qualvolta ne avessi sentito necessità, la usai pochissimo. Una mattina successe però una cosa strana: cominciai ad avere un forte dolore alla spalla sinistra. Ricordavo che il Top, quando era stato operato alla cistifellea per i calcoli, aveva lamentato quello stesso dolore e gli avevano spiegato che durante l'operazione insufflavano dell'aria all'interno per "distaccare" gli organi e quello poteva provocare poi dolore alla spalla. Credetti che fosse lo stesso. Ma il dolore non passava e anzi aumentava fino a diventare insostenibile. Io, stupidamente, non pensai di usare la morfina e stetti lì a piangere dal male, fino a quando un'infermiera si accorse della mia grande sofferenza e chiamò il dottore. Mi disse che era il diaframma che spingeva verso l'alto (a dire il vero le mie spiegazioni mediche sono sempre un po' approssimative perché ci capisco ben poco, quindi accontentatevi), conseguenza dell'intervento. Insomma, tutto normale. Pian pianino il dolore passò, anche perché finalmente usai la morfina. La cosa strana è che da allora (soprattutto i primi tempi, ma mi succede ancora), ogni volta che mangio un po' di più o se bevo troppe bevande gassate o birra (cosa che faccio rarissimamente), mi viene di nuovo male alla spalla, a volte anche molto forte.
Dal terzo giorno mi fecero alzare e mi dissero di cominciare a camminare il più possibile. Il corridoio era dunque frequentato da tutte noi operate, di solito accompagnate da marito o altro parente, che andavamo avanti indietro trainando la flebo e con un paio di borsine di carta in mano dove mettevamo i drenaggi. Perché, a parte il catetere urinario che mi fu tolto non appena mi alzai, avevo due drenaggi: quello in basso, in zona ex ovaie, e quello a sinistra, per il pancreas. Sembrava che stessimo facendo shopping, anche se camminavamo un po' come zombies. Quando in corridoio c'era una donna che camminava più lentamente di me la superavo e le facevo qualche battuta sul fatto che sarei arrivata prima. Si rideva un po' per cercare di stemperare la tragicità del momento.
Il reparto di ginecologia dello IEO è molto bello. C'è anche una stanza per i parenti con dei divanetti, dove possono andare durante le visite. Quando avevo fatto il prericovero l'ospedale non mi aveva fatto una buona impressione perché certi reparti sono di passaggio e quindi la gente che va a trovare i parenti o a fare visite passa continuamente nei corridoi di quei reparti. Mi era sembrato molto brutto. Ma quello di ginecologia è l'ultimo, quindi non passa nessuno se non quelli che devono venie proprio lì. Anche la stanza era molto bella, con delle grosse finestre che davano su un viale alberato, quindi vedevo un bel verde.
Continuavo a non mangiare molto e infatti uscii dall'ospedale con altri chili in meno: in tutto, dall'inizio della malattia, ne avevo già persi 20 e ne avrei persi ancora.
Venne un dottore molto gentile che mi diede degli esercizi respiratori da fare, per far funzionare meglio i polmoni. Ho visto poi un video, di recente, dove consigliavano quegli stessi esercizi in questo periodo di Covid. Venne anche una signora che faceva volontariato e passava a chiacchierare con le pazienti. Inizialmente le dissi che non ero molto socievole, che forse sarebbe stato meglio se fosse andata da qualcun'altra, ma finimmo per parlare un'ora perché venne fuori che le piaceva leggere e aveva visto i libri sul mio comodino. Mi fece molto piacere. Fui forte per i primi 4 o 5 giorni, poi cominciai ad avere crisi di pianto. Un giorno piansi quasi ininterrottamente, tanto che il Top decise di chiedere ferie e venire anche il giorno dopo, anche se non avrebbe dovuto. Dopo una settimana mi tolsero il drenaggio in basso, ma quello del pancreas doveva rimanere. Speravo me l'avrebbero tolto prima di uscire e invece, quando finalmente mi dimisero, dovetti tenerlo. E dovetti andare ogni due giorni a fare analizzare il liquido della sacca per tenere d'occhio i valori dell'amilasi. Tornavo dunque a casa, anche se con questo piccolo strascico.
Un piccolo pensiero, per chiudere: ho pensato molto, in questo periodo, alle persone che hanno dovuto passare quello che ho passato io, ma durante questo lockdown. Ho letto che allo IEO hanno continuato l'attività, essendo un ospedale dedicato, ma che non facevano entrare parenti né per andare a trovare i degenti, né per accompagnare le persone durante le varie visite. E pensavo a come sarebbe stato tutto più difficile se non ci fosse sempre stato qualcuno al mio fianco. Mi dispiace molto per chi ha vissuto una cosa tanto brutta in un momento come questo. Alla fin fine, sono stata fortunata.

mercoledì 3 giugno 2020

L'INTERVENTO

Decima puntata, se avete perso le precedenti scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchio".
Eccoci dunque al grande momento. Mi dovevo presentare allo IEO il giorno stesso dell'intervento, alle 7 del mattino, perché sarebbero venuti a prendermi alle 7,30. Noi, un po' perché per abitudine siamo sempre in anticipo piuttosto che in ritardo, un po' perché dovendo fare un po' di strada avevamo calcolato un margine per un imprevisto, arrivammo lì alle 6,30, quando l'ospedale era ancora chiuso! Così aspettammo nei divanetti all'ingresso che si potesse entrare in reparto. Alle 7 ci fecero salire e mi misero in una stanza che al momento era vuota, ma il comodino del letto di fianco era ingombro, quindi sapevo che sarebbe arrivato qualcuno. Mi preparai come prescritto e alle 7,30, puntualissimi, vennero a prendermi. Andammo a piedi fino alla sala operatoria, il Top mi accompagnò fino alle porte e quando entrai ero così presa dalla cosa che neanche lo salutai! Dovetti poi chiedere se potevo uscire a salutarlo. Mi fecero sdraiare su una barella e mi chiesero i miei dati per essere certi di operare la persona giusta. L'infermiere che mi accompagnò con la barella dentro la sala operatoria era molto gentile e mi fece persino una carezza sul viso, cosa che mi lasciò sconcertata (non me lo aspettavo) e mi fece venire il magone. In sala operatoria mi chiesero di nuovo i dati. E poi di nuovo, e di nuovo. Insomma, non esagero, mi chiesero almeno 5 volte di ripetere nome e cognome. Ma meglio essere più sicuri che fare dei danni! Era tutto estremamente organizzato e pulito ed erano tutti molto gentili e simpatici. A un certo punto una delle infermiere (la definisco così perché non so quale fosse la sua mansione) mi chiese che musica mi piacesse e io dissi che in quel momento stavo ascoltando molto Sia. Dopo qualche secondo mi mise vicino all'orecchio (penso) il cellulare con il brano che Sia aveva inciso in quel periodo, che era "Never give up" ossia "Non arrenderti" e io ricordo che dissi che era un brano adatto perché non avevo intenzione di arrendermi. E' il mio ultimo ricordo. Mi addormentai con Sia, per svegliarmi parecchie ore dopo in terapia intensiva. Il Top fu avvisato appena finito l'intervento tramite un cellulare che gli avevano fornito il mattino stesso. Lo chiamò il chirurgo e gli disse che era andato tutto bene e che sarebbe potuto entrare a trovarmi appena sveglia. Io ricordo di essermi svegliata e credevo di essere già molto vigile, ma a quanto pare non era così perché pensavo che il Top fosse rimasto con me solo pochi minuti e invece restò un paio d'ore. Dice che continuavo a dirgli: "Giura che è andato tutto bene", ma io non ho ricordo di questo. E neanche del fatto che a un certo punto il battito rallentò fino quasi a fermarsi e lui chiamò gli infermieri che mi fecero un'iniezione che mise a posto le cose. Secondo i miei ricordi passai la notte in bianco. Mi pare di ricordare che mi abbiano detto che avendo tolto la milza avevano toccato un po' il pancreas (detto terra terra) e che a causa di ciò dovevano farmi un vaccino per la meningite.Ma non so se sto dicendo delle assurdità, i miei ricordi sono alquanto confusi. Mi misero una pompetta con la morfina che però io non dovetti mai usare, non sentivo alcun dolore.Al mattino, dopo una notte che ricordo insonne (ricordo gli infermieri che parlavano di Breaking bad, serie che avevo adorato e intervenni nella conversazione) al mattino mi lavarono e mi portarono nella stanza, dove trovai ad attendermi il Top. La prima giornata la ricordo un po' confusa. Venne a trovarmi un'amica virtuale del gruppo di cucina su cui scrivo e mi fece un immenso piacere, ma temo di non essere riuscita a dimostrarglielo. Erano tre giorni che non mangiavo ma non avevo assolutamente fame e anche nei giorni seguenti il cibo fu l'ultimo dei miei pensieri, anche perché devo dire che allo IEO, mentre per tutto il resto mi sono trovata molto bene (begli ambienti, personale -quasi sempre- gentile, pulizia) il cibo era davvero immangiabile. E infatti continuai a calare di peso. Dopo questi interventi dicono che è molto importante liberarsi dell'aria, ma per me quello fu un vero problema. I primi due giorni stetti a letto, anche perché avevo il catetere per l'urina. Il giorno dopo l'operazione mi fecero una trasfusione perché dissero che avevo perso molto sangue e avevo l'emoglobina sotto i piedi. Ma già dal terzo giorno insistettero per farmi alzare. Qui potei notare i modi totalmente diversi rispetto all'ospedale di Alessandria dove il chirurgo mi aveva strattonata per un braccio con ben pochi riguardi. L'infermiera dello IEO (la mia preferita, di cui purtroppo non ricordo il nome) mi fece vedere come dovevo fare per alzarmi. Mi aiutò a lavarmi e mi disse che dovevo cercare di camminare. Il letto di fianco, a sorpresa, rimase vuoto: venne una signora a prendere le cose che c'erano sopra e nessun'altra venne a occuparlo. Ero felicissima per questo, preferivo di gran lunga stare sola. Rimasi in ospedale 10 giorni.