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domenica 14 giugno 2020

SECONDA VITA

Undicesima puntata, se avete perso le precedenti scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchio".
14 giugno: tre anni fa a quest'ora ero sotto i ferri. Di fatto è un po' come se quel giorno sia cominciata la mia seconda vita. Credo sia comune a tutti quelli che hanno avuto una malattia grave (e magari anche a chi ha rischiato la vita in un incidente), riferirsi alla propria vita come a un "prima" e un "dopo". Come se quello fosse uno spartiacque che divide nettamente due fasi della vita.
Uscivo dalla sala operatoria alleggerita, oltre che di utero e ovaie, anche della milza, dell'omento (che non sapevo neanche esistesse) e dell'appendice. Avevano anche fatto pulizia dei numerosi noduli nel peritoneo. Avevo un taglio di circa 25 cm che andava dal pube allo stomaco. Quello che temevo di più era il dolore, che immaginavo fortissimo. E invece devo dire che non ne sentii quasi. La morfina, che potevo utilizzare ogni qualvolta ne avessi sentito necessità, la usai pochissimo. Una mattina successe però una cosa strana: cominciai ad avere un forte dolore alla spalla sinistra. Ricordavo che il Top, quando era stato operato alla cistifellea per i calcoli, aveva lamentato quello stesso dolore e gli avevano spiegato che durante l'operazione insufflavano dell'aria all'interno per "distaccare" gli organi e quello poteva provocare poi dolore alla spalla. Credetti che fosse lo stesso. Ma il dolore non passava e anzi aumentava fino a diventare insostenibile. Io, stupidamente, non pensai di usare la morfina e stetti lì a piangere dal male, fino a quando un'infermiera si accorse della mia grande sofferenza e chiamò il dottore. Mi disse che era il diaframma che spingeva verso l'alto (a dire il vero le mie spiegazioni mediche sono sempre un po' approssimative perché ci capisco ben poco, quindi accontentatevi), conseguenza dell'intervento. Insomma, tutto normale. Pian pianino il dolore passò, anche perché finalmente usai la morfina. La cosa strana è che da allora (soprattutto i primi tempi, ma mi succede ancora), ogni volta che mangio un po' di più o se bevo troppe bevande gassate o birra (cosa che faccio rarissimamente), mi viene di nuovo male alla spalla, a volte anche molto forte.
Dal terzo giorno mi fecero alzare e mi dissero di cominciare a camminare il più possibile. Il corridoio era dunque frequentato da tutte noi operate, di solito accompagnate da marito o altro parente, che andavamo avanti indietro trainando la flebo e con un paio di borsine di carta in mano dove mettevamo i drenaggi. Perché, a parte il catetere urinario che mi fu tolto non appena mi alzai, avevo due drenaggi: quello in basso, in zona ex ovaie, e quello a sinistra, per il pancreas. Sembrava che stessimo facendo shopping, anche se camminavamo un po' come zombies. Quando in corridoio c'era una donna che camminava più lentamente di me la superavo e le facevo qualche battuta sul fatto che sarei arrivata prima. Si rideva un po' per cercare di stemperare la tragicità del momento.
Il reparto di ginecologia dello IEO è molto bello. C'è anche una stanza per i parenti con dei divanetti, dove possono andare durante le visite. Quando avevo fatto il prericovero l'ospedale non mi aveva fatto una buona impressione perché certi reparti sono di passaggio e quindi la gente che va a trovare i parenti o a fare visite passa continuamente nei corridoi di quei reparti. Mi era sembrato molto brutto. Ma quello di ginecologia è l'ultimo, quindi non passa nessuno se non quelli che devono venie proprio lì. Anche la stanza era molto bella, con delle grosse finestre che davano su un viale alberato, quindi vedevo un bel verde.
Continuavo a non mangiare molto e infatti uscii dall'ospedale con altri chili in meno: in tutto, dall'inizio della malattia, ne avevo già persi 20 e ne avrei persi ancora.
Venne un dottore molto gentile che mi diede degli esercizi respiratori da fare, per far funzionare meglio i polmoni. Ho visto poi un video, di recente, dove consigliavano quegli stessi esercizi in questo periodo di Covid. Venne anche una signora che faceva volontariato e passava a chiacchierare con le pazienti. Inizialmente le dissi che non ero molto socievole, che forse sarebbe stato meglio se fosse andata da qualcun'altra, ma finimmo per parlare un'ora perché venne fuori che le piaceva leggere e aveva visto i libri sul mio comodino. Mi fece molto piacere. Fui forte per i primi 4 o 5 giorni, poi cominciai ad avere crisi di pianto. Un giorno piansi quasi ininterrottamente, tanto che il Top decise di chiedere ferie e venire anche il giorno dopo, anche se non avrebbe dovuto. Dopo una settimana mi tolsero il drenaggio in basso, ma quello del pancreas doveva rimanere. Speravo me l'avrebbero tolto prima di uscire e invece, quando finalmente mi dimisero, dovetti tenerlo. E dovetti andare ogni due giorni a fare analizzare il liquido della sacca per tenere d'occhio i valori dell'amilasi. Tornavo dunque a casa, anche se con questo piccolo strascico.
Un piccolo pensiero, per chiudere: ho pensato molto, in questo periodo, alle persone che hanno dovuto passare quello che ho passato io, ma durante questo lockdown. Ho letto che allo IEO hanno continuato l'attività, essendo un ospedale dedicato, ma che non facevano entrare parenti né per andare a trovare i degenti, né per accompagnare le persone durante le varie visite. E pensavo a come sarebbe stato tutto più difficile se non ci fosse sempre stato qualcuno al mio fianco. Mi dispiace molto per chi ha vissuto una cosa tanto brutta in un momento come questo. Alla fin fine, sono stata fortunata.

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