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sabato 16 maggio 2020

IL LIMBO

Ottava puntata. Se avete perso le puntate precedenti scorrete verso il basso e cliccate su "post più vecchi".
Perché il limbo? Perché è proprio lì che mi sono ritrovata dopo le dimissioni dall'ospedale e prima dell'operazione. In questa terra di nessuno, in angosciosa attesa di qualche notizia, di uno spiraglio di luce. Innanzitutto il lunedì mi recai a fare il prelievo per il test genetico. Chi risulta positivo a questo test ha molte più possibilità rispetto agli altri di ammalarsi di tumore. Perché dunque hanno deciso di farmelo anche se ero già ammalata? Perché in base al risultato sarebbero cambiati i protocolli delle cure.
Nell'ospedale di Alessandria i prelievi del reparto oncologia ed ematologia, sono in un piano interrato. C'è dunque questo grosso stanzone privo di finestre, con le sedie messe tipo cinematografo. Dunque non si vedono gli altri in faccia e si danno le spalle a quelli seduti dietro. Sembra una stupidaggine, ma a me ha fatto una pessima impressione. Per chi deve fare le terapie di solito funziona così: si arriva e si va allo sportello dell'accettazione facendo già una coda. Si ottiene un numero e ci si siede ad attendere il proprio turno. Su uno schermo compaiono man mano i numeri per accedere al prelievo quindi si aspetta, si aspetta, si aspetta... Dopo il prelievo ci si siede di nuovo lì finché non arrivano gli esiti (solitamente ci mettono almeno un'ora, se non di più), quindi si aspetta di nuovo. Quando compare il proprio numero ci si trasferisce in una sala d'attesa al piano superiore (ma sempre senza finestre) dove di nuovo si aspetta per la visita medica. E si aspetta, si aspetta, si aspetta... Insomma, in quel primo giorno ho subito capito che la cosa importante per me sarebbe stata imparare a essere molto paziente, io che non lo sono mai stata. Quel giorno a dire il vero, per il prelievo vero e proprio aspettai poco perché era un prelievo particolare e passai prima. Ma poi l'attesa si fece lunga. Dopo un bel po' andai a chiedere quanto avrei dovuto ancora aspettare e venne fuori che io non dovevo essere visitata, avrei anche potuto andarmene subito. Rimasi basita perché mi avevano dimessa dall'ospedale senza dirmi nulla, senza darmi un appuntamento per una visita di controllo. Avevo ancora addirittura i punti alla ferita del drenaggio al polmone, ma non sapevo quando avrei dovuto toglierli. Mi sentii un po' abbandonata. Insistetti dunque per poter vedere una dottoressa e una caposala un po' maleducata mi disse di aspettare lì che prima o poi sarei stata visitata. Insomma, dopo diverse ore vidi una dottoressa per fortuna molto gentile che mi fissò un appuntamento con il chirurgo toracico per togliere i punti, da lì a qualche giorno. Nei giorni seguenti provai più volte a contattare l'oncologo che mi aveva seguita in reparto, per avere notizie della visita a Milano e anche perché avevo cominciato ad avvertire una preoccupante tensione nella zona del fegato. Ero spaventata ma riuscii a parlargli solo dopo diversi giorni e, un po' scocciato, accettò di visitarmi. Sentì che in effetti il fegato sembrava ingrossato e mi fece fare una ecografia d'urgenza, ma per fortuna non venne fuori nulla di nuovo. Intanto non riuscivo a sapere nulla da Milano. Mi dicevano tutti "Ma telefona tu", ma a me sembra sempre di rompere le scatole e così alla fine lo prendo sempre in quel posto. Alla fine, al venerdì, mi decisi e chiamai io e fui super fortunata:il chirurgo mi diede appuntamento per il lunedì seguente, 15 maggio. Scoprii in seguito che mi era andata molto bene, soprattutto per una visita non a pagamento. Quel giorno dunque io e il Top ci recammo allo IEO pr la prima volta. Anche lì attese infinite e poi finalmente la visita. Il chirurgo che poi mi avrebbe operata, devo essere sincera, come persona non mi fu molto simpatico. Però ne parlavano molto bene, e quindi decisi di fidarmi. Mi spiegò cosa sarebbe potuto succedere: dal momento che la TAC come esame diagnostico non riesce a vedere bene in profondità, disse, era solo aprendo che si sarebbero resi conto della vera entità. Quindi c'era la possibilità che dovessero asportare anche altri organi e alcune parti di intestino. In quel caso può succedere che debbano mettere un drenaggio se la "cucitura" delle parti dell'intestino da riallacciare non dovesse tenere (detta in parole molto povere). Io ero angosciatissima, ma ho capito che lì è la prassi dire tutto quello che potrebbe succedere perché uno sia preparato al peggio. Disse che l'intervento sarebbe durato circa 6 ore e che poi sarei stata fino al giorno dopo in terapia intensiva. Questa cosa all'inizio mi fece quasi decidere di farmi operare in Alessandria, perché i pensiero di non avere vicino il Top al risveglio dall'anestesia mi terrorizzava. Speravo potesse stare di notte vicino a me, ma non sarebbe stato possibile. Per fortuna riuscii a superare questa paura perché credo che la decisione di farmi operare lì sia stata per me la vera salvezza. Mi disse che mi avrebbero operata entro un mese, di aspettare la loro chiamata. E, ancora una volta, dovetti mettermi tranquilla e aspettare, aspettare, aspettare...
Intanto continuavo a perdere peso perché non riuscivo a mangiare quasi nulla. Avevo perso, in un mese, più di 10 chili (l'unica parte positiva di tutta la faccenda!)

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