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martedì 5 maggio 2020

LA SCELTA DI LIDIA

Sesta puntata. Se avete perso le puntate precedenti scorrete in fondo al post e cliccate su "post più vecchi".
Il titolo di oggi è un riferimento al vecchio, famoso film con Meryl Streep, anche se la scelta che dovette fare Sophie fu ben più devastante. Ma anch'io, al momento della dimissione dall'ospedale, mi trovai di fronte a una difficile decisione. 
Erano dunque arrivati gli esiti della biopsia. Non che ci fossero dubbi sulla natura delle cellule analizzate, ma dovevano aspettare per capire che tipo di terapia fosse più indicata. Perché, come mi avevano già detto fin dall'inizio, loro non mi avrebbero operata così com'ero, ma avrebbero provato a fare alcuni cicli di chemio per cercare di diminuire un po', non la dimensione, mi parve di capire, ma la quantità di noduli, e poter intervenire in modo meno invasivo. Mi ero dunque preparata psicologicamente ad affrontare la mia prima chemio. Già qui c'era stato dietro un dilemma non da poco, perché io sono sempre stata un po' restia a utilizzare i farmaci. A parte quelli per il mal di testa, di cui non posso fare a meno, ho sempre cercato di prendere meno medicine possibile. Avevo visto un documentario dove si parlava di quanto dannosa fosse la chemio e in quel momento avevo pensato: "Se dovesse capitare a me, non la farei di certo". Ma poi ci si ritrova dentro in pieno e non è semplice dire: no, non la voglio fare. Psicologicamente si innescano dei processi mentali differenti, tutte le nostre certezze vengono spazzate via. Ve lo posso garantire: non potete sapere come reagirete a qualcosa fino a quando non vi trovate davvero in determinate situazioni. Per quanto io avessi le mie idee sulla nocività delle terapie, in quel momento le vidi anche come l'unica mia possibilità. Anche perché avevo conosciuto un paio di persone che erano guarite da tumori facendo solo la chemio, mentre (destino vuole, proprio in quello stesso periodo), un paio di conoscenti erano morti dopo aver percorso strade alternative. Rimango dell'idea che non potremo mai essere sicuri di niente, magari le persone guarite lo sarebbero state anche non facendo chemio, e le altre sarebbero morte anche facendola. Non è possibile vivere due volte per fare le prove in un modo o nell'altro e quindi scegliamo quello che in quel momento ci fa sentire più sicuri. 
L'oncologo che mi aveva in cura (che vidi comunque ben poco durante il ricovero), mi comunicò dunque la diagnosi definitiva e la terapia consigliata. Ma mi disse: "Però, se vuole, ci tengo a dirle che allo IEO di Milano un tumore come il suo lo opererebbero subito. Conosco un buon chirurgo, se vuole la metto in contatto. Decida lei". Io a quel punto sono entrata in confusione: ovviamente da una parte capivo che essere operata in un centro come lo IEO, dove trattano solo tumori (e il reparto ginecologico è un loro fiore all'occhiello) sarebbe stato molto meglio. D'altro canto io avevo fretta di fare qualcosa. Se avessi deciso di farmi operare lì dov'ero, saremmo partiti subito con la terapia. Io ho un'immaginazione molto fertile e avendo sempre letto fumetti tendo a figurarmi tutto nella testa con immagini molto vivide. Mi immaginavo dunque il mio nemico (Anselmo!) in assetto da guerra, e le cure che, attraverso la flebo, sarebbero entrate in circolo come tanti piccoli soldatini armati fino ai denti, pronti a combattere e distruggere la brutta bestia. Ero pronta alla battaglia! Temevo che le cose si sarebbero trascinate per chissà quanto se avessi deciso di andare a Milano e quindi ero in ansia: cosa avrei dovuto fare? E come facevo io a sapere quale fosse la scelta migliore? Intervento super invasivo ma fatto da mani esperte, o tentativo di ridurre il problema e intervento più semplice? Ovvio che il fatto che l'oncologo me ne avesse anche solo parlato presupponeva che secondo lui andare a Milano fosse la scelta migliore. Dissi all'oncologo di prendermi appuntamento con il chirurgo dello IEO, ci avrei parlato e avrei deciso qualcosa. Mi dimisero dunque il 5 di maggio, un venerdì, dandomi appuntamento al lunedì mattina per un prelievo che sarebbe servito per fare il test genetico, ovvero il BRCA1. Mi venne un po' il nervoso perché dopo tre settimane di ospedale e qualcosa come almeno 10 prelievi non avevano pensato di farmelo prima, ma ero talmente felice di uscire che abbozzai. Finalmente rivedevo la mia casina, dopo tanto tempo. Mi pareva tutto strano. Certamente la mia vita era drasticamente cambiata da quando ne ero uscita 19 giorni prima convinta di stare via per poche ore. 

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