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venerdì 1 maggio 2020

IL TALCAGGIO

Quinta puntata. Se non avete letto le precedenti scorrete in basso e andate su "post più vecchi".
Siamo dunque al momento del talcaggio. Mi portano in sala operatoria e, siccome non c'è stata alcuna visita dell'anestesista (che credo sia una prassi), mi fanno firmare il foglio direttamente lì, mentre sono coricata sulla barella. Mi dicono che non faranno una vera e propria anestesia, ma una sedazione. Io credevo fosse un'anestesia locale, invece ho perso completamente memoria dell'intervento, anche se mi sono svegliata subito, appena terminato. Mi lasciano fuori dalla sala operatoria per un bel po' (penso almeno un'ora) dopo l'operazione. La schiena mi fa un male bestia ma non ricordo se sia riuscita a comunicarlo efficacemente, e comunque non viene fatto nulla per farmi passare il dolore. Mi riportano in stanza dove ci sono mia mamma e mia nipote che staranno con me nelle ore successive. Ricordo solo il forte dolore alla schiena e la richiesta continua di alzare e abbassare lo schienale del letto per cambiare il punto di appoggio e alleviare il male. Solo dopo diverse ore ho pensato che potevo benissimo farlo da sola visto che c'era il telecomando!! La notte invece si è fermato il Top perché dicevano che c'era pericolo che non drenasse bene (mi pare) ed era meglio stare sotto controllo. Avevo infatti ancora il drenaggio, che avrei tenuto ancora qualche giorno. Il giorno dopo ho un dolore fortissimo, oltre che alla schiena, anche nel foro del drenaggio, che mi trascinavo dal primo inserimento del catetere. Il giorno dopo ancora passa il chirurgo che mi gira come un calzino, dicendomi che se volevo migliorare mi dovevo alzare. Io rispondo che ho troppo male, non riesco ad alzarmi e lui ribatte che un signore molto più anziano di me è già lì che zompetta come se niente fosse. Dico, ok, probabilmente ho una soglia del dolore molto bassa, datemi degli antidolorifici decenti e mi alzo. Vorrei dirgli che secondo me è stata la sua assistente a massacrarmi con la sua inettitudine, ma non ne posso essere certa, quindi taccio. Senza troppi complimenti lui mi tira per un braccio facendomi alzare. Ho visto le stelle!! Secondo me in questi casi un po' di delicatezza non guasterebbe. Insomma, dopo molte richieste mi hanno dato un antidolorifico un po' più potente e sono riuscita a stare seduta in poltrona, e dopo un paio di giorni, ad alzarmi un po'. Finalmente, dopo qualche giorno, possono togliermi il drenaggio e mi posso muovere anche fuori dalla stanza. Nel frattempo la mia compagna di stanza è stata trasferita e passo finalmente qualche giornata da sola. Io non sono molto socievole, preferisco mille volte stare da sola. Dopo qualche giorno la magia finisce. Arrivano con un'emergenza, un ricovero improvviso. Ma è... un uomo! Dovete sapere che l'oncologia è un reparto misto e fanno firmare un foglio dove dichiari che, se fosse proprio necessario, accetti di dividere la stanza con un paziente del sesso opposto. Ma, mi dicono in quel momento, non succede quasi mai. E invece eccomi lì, con questo uomo vecchissimo e male in arnese, che per tre giorni mi tormenterà con tosse continua (anche tutta la notte), bestemmie e lamentele varie, scoregge (sì, proprio così) e pisciate non proprio miratissime nel bagno condiviso, senza peraltro tirare lo sciacquone. Io che già non riesco tanto a dormire, passo due notti in bianco. La seconda notte, oltretutto, gli affiancano una badante che non fa assolutamente nulla e mi fa persino venire il nervoso (infatti poi ci litigo, perché lui continua a chiedere che gli portino un sonnifero e lei non fa nulla, né lo accompagna in bagno come dovrebbe fare). Il terzo giorno finalmente lo portano via, ma a quel punto finalmente anche per me sembra giunto il momento di uscire, visto che sono arrivati gli esiti della biopsia e siamo arrivati al dunque. Ma quella che mi si prospetta davanti è una scelta molto difficile.

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