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sabato 25 aprile 2020

L'ONCOLOGIA

Quarta puntata, se avete perso le precedenti scorrete in fondo e visualizzate i post più vecchi.
Dopo quasi una settimana mi trasferirono in oncologia. Fu un trasloco sbrigativo, di cui mi avvertirono solo cinque minuti prima. Raccolsi velocemente le mie cose e andai nel reparto dove avrei passato le due settimane seguenti. Fu un netto miglioramento per quel che riguardava la stanza: il reparto era nuovo, avevo un letto con la possibilità di sollevare la parte della schiena tramite un telecomando, cosa che si rivelò molto utile; la stanza era dotata di bagno, c'era la luce sopra il letto e addirittura un televisore! Io a casa non ho la tele (o meglio, ho un televisore collegato al pc dove guardo film e serie tv, ma non ho l'antenna) quindi non sono abituata ai programmi televisivi. Ho scoperto che sono inguardabili, alla fine non riuscivo a guardare nulla (sebbene le giornate fossero lunghe da far passare, nonostante le molte visite di amici e parenti, e i libri). Ho giusto guardato un canale dove ristrutturavano delle case. Quando arrivai nella stanza era sabato e la mia compagna di stanza era uscita per il fine settimana, non dovendo fare niente in quei giorni. Rientrò poi il lunedì e scoprii che era una senzatetto (aveva più o meno la mia età) che era stata ricoverata per fare la prima chemio. Aveva subito l'intervento (al seno) qualche tempo prima e dopo circa una settimana di ricovero la obbligarono ad andare in una casa di cura dove avrebbe dovuto passare i mesi della chemio, essendo inaccettabile stare per strada in un momento simile. Lei era molto contrariata per questa cosa. Quando arrivavano i pasti mangiava sempre tutto voracemente e io, che ancora non riuscivo a mangiare nulla, le davo anche parte del mio cibo, soprattutto il pane che essendo confezionato poteva mettere da parte. Chissà che fine avrà fatto?
Decisero subito di impiantarmi un port: è un dispositivo che si mette sotto pelle con un catetere collegato a una vena. In questo modo quando si deve fare la chemio non devono ogni volta bucare e cercare la vena. Le mie erano già invisibili, in più con la chemio si rovinano abbastanza, quindi la decisione è stata più che giusta. All'epoca avevo ancora i capelli lunghi e in sala operatoria non trovavano una cuffietta che li potesse contenere, le avevano finite. Non so se sia la prassi, ma alla fine mi hanno fatto questo piccolo intervento (in anestesia locale) con un telo che mi copriva tutta la testa, praticamente non vedevo nulla, era come avere un lenzuolo sulla faccia. Ma magari si fa proprio così...
Nel frattempo ero finalmente riuscita ad andare un po' di corpo, senza alcun intervento da parte loro. Ho scoperto solo in seguito che il fatto di essere bloccata a livello intestinale era un brutto segno, ma come ho detto nessuno ci ha fatto caso.
La situazione dei polmoni stava peggiorando e così mi misero l'ossigeno, e poi mi fecero un drenaggio pre talcaggio. Come ho detto la scorsa volta il talcaggio avrebbe risolto il problema della formazione di liquido, ma prima questo liquido era meglio toglierlo. Per drenare si inserisce praticamente un tubicino nello spazio pleurico che esce e si collega a una macchina che aspira il liquido. L'inserimento di questo catetere è stata forse la seconda cosa più dolorosa della mia vita, dopo la biopsia. Ma se in quel caso era durato pochi minuti (e per fortuna perché era davvero un dolore allucinante), questo me lo trascinai per parecchio. Vennero a mettermelo in stanza, era presente un chirurgo toracico (quello che poi mi avrebbe fatto il talcaggio), un paio di infermiere e una dottoressina che immagino dovesse fare un po' di pratica. Ancora una volta quindi ebbi la fortuna sfacciata di fare da cavia. Io capisco che i neo laureati da qualche parte si debbano allenare, ma... perché proprio su di me?? Insomma, nonostante una leggera anestesia locale mi fece un male bestia, anche perché non riuscì al primo colpo e dovette "sfruculiare" per un po' (alla fine intervenne il chirurgo che con un'abile mossa me lo inserì). Mentre ero lì a soffrire le pene dell'inferno la mia compagna di stanza arrivò (mi stupii che non le dissero di aspettare fuori), andò al suo letto e accese la tele a tutto volume. A un certo punto dovettero chiederle di abbassare perché non riuscivano nemmeno a sentirsi tra loro. Non sapevo se ridere o piangere.
Ero dunque attaccata a una macchina che stava di fianco al letto e lo sarei stata per tre o quattro giorni, fino all'intervento e anche qualche giorno dopo. Non potevo quindi allontanarmi da lì, quindi la grande conquista del bagno in camera si rivelò inutile. Mi misero una "comoda" di fianco al letto. Io non sapevo neanche cosa fosse: praticamente una sedia con il sedile che si alza e  sotto c'è un vasino, quindi dopo ogni uso si deve chiamare un'infermiera che lo svuoti. Già a me questa cosa dava un fastidio terribile, in più, ovviamente, dopo praticamente 20 giorni di blocco totale... mi venne la diarrea. Una cosa favolosa!! Mi alzavo a fatica dal letto, molto dolorante, ma lo dovevo fare di corsa per non farmela addosso. Soffrivo molto, psicologicamente, per questa situazione. Poi mi dovetti anche arrabbiare quando un'infermiera mi disse che però potevo anche svuotarmela da sola o farla svuotare al Top. Devo dire che le infermiere erano quasi tutte molto disponibili e gentili, ma ce ne erano un paio che erano proprio antipatiche. La cosa più dura di quel periodo è stato il fatto di poter stare nel letto solo coricata sulla schiena. Io dormo sempre sul fianco, quindi non poter cambiare mai posizione era una bella tortura, soprattutto per la mia schiena. Dopo qualche giorno finalmente mi fecero il famoso talcaggio, non vedevo l'ora che mi togliessero il drenaggio. Fu un po' un dramma anche l'intervento perché il giorno fissato, verso tarda mattinata (io aspettavo dalle 8), mi dissero che non facevano più in tempo. Era un venerdì, quindi si sarebbe probabilmente dovuto rimandare a lunedì. Io ci rimasi malissimo e mi misi a piangere e alla fine l'oncologo che mi stava seguendo (che scoprii dopo che però non era il mio, ma un sostituto), riuscì a farmi passare. Finalmente andai in sala operatoria.

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